Intellettuale di formazione sia classica che scientifica, lavora su molteplici interessi: dall’antropologia alla psicoanalisi, all’epistemologia dei sistemi complessi di Prigogine e Morin.
Lei lavora seguendo percorsi creativi sempre tesi al senso di interezza e di appartenenza. La relazione, nella sua natura necessaria e universale, è il cuore del pensiero stesso della Micozzi.
Il critico e filosofo Giuseppe Vannucci scrive: ”Nella sua opera orientata ad una visione sistemica del mondo, nella concezione “relazionale” di Gregory Bateson, la dimensione fantastica scaturisce dalla complessità labirintica delle infinite relazioni possibili, geometrico-matematiche , mnestiche o simboliche tra gli elementi di un tutto che, nella visione organicistica di Maria Micozzi, si traduce nel mito femminino della grande madre cosmica attraverso la forza sinuosa ed erotica dei suoi acefali corpi femminili. In questo suo anelito alla ricomposizione formale della totalità attraverso la compresenza e la ‘ricucitura’, nelle sue opere di frammenti, di linguaggi plurimi vengono meno le rigide e schematiche contrapposizioni tra figurazione e astrazione, tra razionale e non razionale, tra mente e corpo delineando così nuove possibili connessioni e relazioni tra contesti e realtà irrelate.”
Per ragioni familiari Maria Micozzi non ha frequentato scuole d’arte, ma fa dell’arte il suo lavoro sperimentando soluzioni tecnico-formali inedite con l’utilizzo di materiali elementari, come fili di ferro, spaghi e alto, che si fanno anche supporto di una qualità pittorica sulla grande tradizione del Rinascimento da Leonardo a Michelangelo. Il connubio tra la pittura di un ‘ profondo stato interiore’ e la ricerca eccentrica di un insopprimile ‘ correre a cercare’, porta ad esiti spiazzanti sul piano concettuale, ma il vero luogo della sintesi è sul piano della composizione, dove le letture sono non-lineari. L’opera della Micozzi ha suscitato interesse da parte di molti critici tra i quali Pierre Restany, Giorgio di Genova, Vladimiro Zocca, Paolo Levi, Federico Zeri, Rossana Bossaglia, Floriano De Santi.
Pierre Restany, il teorico del Nouveau réalisme, presentando a Milano una personale della Micozzi commenta ” domani il corpo dell’artista sarà il suo paesaggio”. Nella presentazione a catalogo per la mostra di Urbino alla rampa di Francesco di Giorgio Martini, Floriano De Santi scrive “La ricerca della Micozzi si presenta subito come del tutto straordinaria ed eccentrica, spostata dal baricentro attorno a cui di norma si raccolgono i linguaggi artistici”
L’artista marchigiana ha a curriculum un’ intensa attività espositiva non solo in Italia, che la mostra nelle sue diverse esperienze. Alla fine degli anni ’80 è presente all’Expo a New York; in Spagna è invitata ad una rassegna di artisti internazionali su iniziativa del Ministero della Cultura di Madrid. Sono da menzionare inoltre mostre a Francoforte, Miami, Londra e New York. Molte sono le sue personali allestite in Germania e Olanda.
ll suo demone epistemologico continua comunque a portarla su temi della complessità e sulla denuncia dei paradossi, che la nostra visione lineare del mondo fa esplodere compromettendo le basi stesse della sfera relazionale, che è giusto ricordare essere al centro della sua ricerca.
Si richiamano a questo proposito le personali “La seduzione-ossessione e paura nei trattati degli Inquisitori” alla Rocca Malatestiana di Montefiore Conca (RN) nel 1997 che ha raccolto i complimenti di Federico Zeri, “La disperatissima sete-8 pièces per Giacomo Leopardi” a Recanati per il Bicentenario della nascita del poeta, “Maria Micozzi o il mistero del corpo” per la Fondazione Umberto Mastroianni a cura di Floriano de Santi nel 2002. Nel 2005 a Bologna presso la Galleria Castiglione Arte presenta “La domanda e l’utopia” ispirata a “Le città invisibili” di Italo Calvino a cura di Giuseppe Vannucci.
Esperienze di relatrice vedono la Micozzi esprimersi in convegni su temi teorici oltre che di arte; nel 2008 al Festival della Scienza di Genova la relazione “Attraversare la diversità” è presentata accanto ad una grande installazione; a Padova la relazione “Il nome del branco-ammutolire la preda”, all’interno di un convegno organizzato da Oikos-bios, è legata alla mostra “Don’t rape Lilith” che da Padova viene poi portata a Milano agli Archivi di Stato.
Un suo testo, “Le femmine”, viene dato al Teatro Altinate San Gaetano di Padova con la sua scenografia, come pure sua è quella che accompagna un testo di Antonetta Carrabs, “Viole x Enza”, itinerato dal teatrino di Villa Reale di Monza a Palazzo Reale di Milano.
La sua vivacità creativa la spinge a un sempre rinnovato tipo di esperienze e di soluzioni formali come per ‘La nuova Lilith’, scultura in rete metallica dipinta, esposta a Overplay, evento della 55° Biennale di Venezia.
Nel 2015 la personale “Acque profonde” a Milano, a cura di MUMI-Ecomuseo Milano Sud, tratta il grande problema del futuro, la sete, e alla Casa Museo Alda Merini nel 2017 la mostra “Granelli di polvere” è centrata sulla violenza psicologica. Il paradosso che sta alla base della nostra cultura patriarcale, che fa del controllo uno dei suoi temi fondanti, è presente anche nelle opere esposte alla rassegna “Love & Violence” alla Galleria Civica di Padova del 2017.
L’artista quindi continua ad indagare la complessità nel quotidiano attraverso insolite relazioni tra differenze, sperimentando percorsi particolari sia sul piano formale che sul piano tecnico, senza , per altro, che il suo lavoro perda di unità stilistica.
Cara Maria,
E’ affascinante e molto interessante tutto ciò che tu studi e approfondisci. Ti seguirò con molto interesse. Un Abbraccio e A Presto